La provenienza di un prodotto deve essere indicata? Questo basta a tutelare la qualità e a combattere le contraffazioni? O è un ulteriore iter burocratico che che aumenta i costi senza costituire alcun valore aggiunto per i consumatori?

Focus: Tutela del consumatore o protezionismo?

https://api.multimedia.europarl.europa.eu/documents/20125/13778396/M001-0022-IT.srt

Ho fatto un po’ di shopping   e ho comprato capi

che vengono da paesi con una lunga   tradizione di stile e design.

C'è l'etichetta della società, ma non   trovo l'etichetta del paese d'origine.

Oggi ci occupiamo della giungla   del "made in", il marchio d’origine.

Non esiste una legge comune a livello   dei 27 sull'origine dei prodotti.

Quindi c’e’ chi mette l’etichetta   e chi no.

Valentina Graziosi è andata a Biella,   nel cuore del tessile di qualità,

per capire come restare competitivi   investendo in innovazione ed esperienza.

E poi siamo andati a parlare con un   produttore di scarpe sempre in Italia

che invece ha delocalizzato   per restare competitivo.

Lo stabilimento Vitale Barberis Canonico

è l’esempio di come sia stato possibile   coniugare la mano d’opera italiana

Qui, vicino a Biella, nel cuore   del tessile italiano di alta di qualità,

si producono tessuti   per le migliori sartorie del mondo.

Abbiamo scelto di mantenere   la produzione in Italia

perché siamo molto legati al territorio

e crediamo   che solo il vero "made in Italy"

ci potrà aiutare a competere   ed esportare in tutto il mondo.

Certifichiamo che la nostra filiera   è tutta rigorosamente "made in Italy".

Il perfezionamento   del software di gestione

e i forti investimenti   in innovazione tecnologica

Produciamo circa 5 milioni di tessuto   all'anno con circa 320 persone.

Tutto questo a fronte di un investimento   costante di 10 milioni di euro annui,

Notate per esempio l’assenza   di persone. E' tutto automatizzato.

Dove si può massima pulizia,   massimo ordine...

La lana, dopo essere stata pettinata   e ripettinata finisce sulle bobine.

Per fare il filo   bisogna prendere la fibra

che viene tirata   e allo stesso tempo torta.

Questo reparto è rimasto uguale   a 100 anni fa.

Qui vengono riparati   tutti i difetti a mano.

Tutte queste attenzioni   per garantire un tessuto pronto all’ago.

Offriamo la garanzia sul tessuto   ma anche sul capo finito.

Uno compra i nostri tessuti   e confeziona il capo con tutti i crismi.

rispondiamo non solo sul tessuto   ma anche sul capo.

Qui abbiamo delle pezze in partenza   per il Canada, Roma,

Certo, l’esempio di Biella   è una nicchia di super buona qualità,

ma investendo in innovazione   ed esperienza c’è chi ce la fa.

I produttori europei di qualità   chiedono protezione

per il loro lavoro   e un marchio d’origine per tutti.

che viene proprio da Biella   dove è stato girato il nostro reportage.

E con Christofer Fjellner,   del gruppo dei popolari, svedese.

E passiamo subito al nostro   primo capitolo: il marchio d’origine.

E’ una protezione necessaria   per la nostra industria?

Allora, Gianluca Susta,   perché abbiamo bisogno del "made in"?

La prima, perché il consumatore finale   nel mercato globale

anche per ricondurlo   a un discorso di qualità del prodotto.

La seconda ragione, è perché   tutti i grandi competitori del mondo

-UE, USA, Cina, India, Australia,   Brasile, Corea, Giappone-

devono tutti marchiare su alcuni   prodotti strategici la provenienza.

Quindi, l'obbligo del "made in"   sui prodotti importati ha questo scopo,

e di fare sapere ai consumatori   da dove viene la roba.

Anche a mio parere si dovrebbe   conoscere la provenienza di un prodotto.

e ho notato che H&M, Zara, perfino   Armani, riportano la provenienza.

Tuttavia, le aziende o gli importatori   non dovrebbero essere obbligati a farlo.

E' costoso, appesantisce la burocrazia   e non porta nessun valore aggiunto.

Lo spiega bene la frase:   "Squadra che vince, non si cambia."

Qual è la necessità di emanare una legge   europea se funziona bene così?

ci può spiegare questo mito del "made   in"? Da cosa ci protegge concretamente?

Sei mesi fa, 1,5 milioni di scarpe sono   state bloccate in una dogana europea

perché la concia di queste scarpe, i   materiali con cui erano fatte le scarpe,

i prodotti chimici con cui le avevano   tinte erano nocivi per la  salute.

Quindi, la tutela   e l'obbligatorietà del marchio

si inseriscono nella lotta alla frode   commerciale e alla contraffazione

e di trasparenza   e tracciabilità del prodotto.

Quindi non c'è   una complicazione burocratica

se obblighiamo a mettere   "made in China", "made in Vietnam",

"made in Japan"   al di là del nome dell'azienda.

se Armani fa in Cina   e poi c'è un Armani fatto in Italia,

sono convinto che il consumatore quando   sa che un Armani è fatto in Cina

e un altro è fatto in Italia   sceglie quello italiano.

Ne parleremo dopo,   quando parleremo dei consumatori.

Che c'è di male nel proteggere   l'industria europea?

E' importante garantire la sicurezza dei   prodotti come per le scarpe di pocanzi.

Dobbiamo prendere una posizione netta   sui prodotti pericolosi importati.

Ma ciò non si risolve   imponendo un marchio di origine.

Non accetterò mai che in Europa   si vendano scarpe nocive alla salute

solo perché portano il marchio   "made in China".

Non si può chiedere che i prodotti   "made in China" siano "made in Italy".